Alimentazione – Approfondimento 4/23

 


Rubrica a cura di CHIARA SFERRA
Biologa, nutrizionista

In termini strettamente biochimici siamo ciò che mangiamo,
ma allargando il campo di indagine siamo anche quello che scegliamo di mangiare e anche come lo mangiamo.
La nutrizione umana, infatti, passa per l’alimentazione: al contrario delle piante, compiamo un’azione attiva che ci consente di nutrirci.
Oggi, e soprattutto in questo pezzo di mondo, mangiare significa compiere continuamente scelte più o meno consapevoli
all’interno di contesti complessi in cui la digestione e l’assorbimento di nutrienti rappresentano solo la fine di una staffetta,
non esclusiva di alcuna disciplina particolare.
Questo spazio di approfondimento vuole essere un modo per esplorare questa complessità,
anche attraverso il contributo di professionisti ed esperti in varie discipline
che ci forniranno di volta in volta uno strumento nuovo per leggere ed interpretare la realtà dell’alimentazione.




BASTA UN POCO DI ZUCCHERO
Quando un limite diventa possibilità. Anche il diabete

Domenica 25 Giugno a Roma c’è stato un piccolo momento di poesia al quale mi è stato dato il privilegio di partecipare. Provo a raccontarlo utilizzando soprattutto le parole di chi ha fatto si che quella merenda condivisa a Villa Borghese fosse possibile e avesse un senso.

Partiamo dall’inizio.
Secondo i dati ISTAT 2020 in Italia il 5,9% della popolazione convive con una diagnosi di diabete. Tra questi “solo” il 10% ha uno specifico diabete detto “di tipo 1”. In tutte le forme della patologia la caratteristica diagnostica è un’elevata presenza di glucosio nel sangue; nel diabete di tipo 1 la causa di quest’elevata glicemia ematica è dovuta ad un’alterazione del sistema immunitario che “per sbaglio” uccide le cellule del corpo deputate alla produzione di insulina, ormone che regola (insieme al glucagone) i livelli di glucosio nel sangue.
In numeri assoluti si stima che in Italia ci siano circa 300 mila persone con diagnosi di diabete di tipo 1, che vuol dire meno di una persona su 100. Questa forma di diabete si presenta quasi sempre prima dei 30 anni e in modo molto traumatico e brusco; tanti bambini, ragazzi e giovani adulti si ritrovano così a dover gestire una patologia oltremodo complessa e fortemente impattante nella vita di tutti i giorni, in un contesto di semi solitudine.

Come spesso succede però, le risorse umane sono capaci di imprese straordinarie, e così, prendendo spunto da esperienze simili in altre città, Laura Cinque, biologa nutrizionista diabetica da 18 anni, decide che vale la pena organizzare occasioni di incontro nelle quali persone con diabete di tipo 1 possano finalmente conoscersi fisicamente e condividere esperienze di vita. Per Laura la spinta a concretizzare quest’iniziativa nasce proprio dalla consapevolezza di quanto nella sua storia di vita abbia avuto un’importanza fondamentale il cambio di prospettiva: “negli anni dell’adolescenza è arrivata la ‘ribellione’ nei confronti del diabete e sono caduta in un vortice pericoloso, soprattutto perché mi sentivo molto sola. Mi ero letteralmente chiusa a riccio, pensavo che ‘come me’ ce ne fossero pochi e che potevo cavarmela esclusivamente da sola. La scelta di diventare nutrizionista sicuramente è stata influenzata dalla mia patologia. Volevo capirci di più!”. Proprio grazie al suo percorso professionale entra a far parte del team di “Progetto Esordio”, uno spazio che offre aiuto ai pazienti diabetici di tipo 1, sia dal punto di vista psicologico che da quello nutrizionale, così inizia un cammino di condivisione e di riapertura: “l’aver conosciuto buona parte della community mi ha tirata su e spingo tutti, anche i miei pazienti più timidi a ‘buttarsi’!”. A dimostrazione di ciò, proprio con i suoi pazienti inizia a nascere l’idea di riunirsi e conoscersi.

E così, saltando qualche passaggio, arriviamo alla merenda di Domenica 25, a cui io arrivo grazie a Maurizia Piras, anche lei biologa nutrizionista e diabetica da 30 anni. Di Maurizia mi ha colpita, ed affascinata, l’entusiasmo e la forza con cui porta avanti il suo vissuto e la sua idea di diabete: “Per me questa patologia è un prisma con una miriade di sfaccettature che hanno preso colori diversi negli anni, in base alle esperienze vissute, alle persone incontrate e alle sfide che mi sono posta. Una di queste è stata la condivisione, che è cresciuta da due anni a questa parte in maniera indescrivibile e che mai mi sarei aspettata quando erano ancora in pochi a bisbigliare timidamente le proprie esperienze sul diabete. Prima di tutto ciò, per me, il diabete era solo un compagno di vita che ho sempre provato a gestire al meglio ma di cui non ho mai parlato. Non perché me ne vergognassi: voi spieghereste ad altri il motivo per cui respirate per sopravvivere o sbattete le ciglia involontariamente? Adesso, la Maurizia adulta ha deciso che il diabete andava riconosciuto come malattia, e solo identificandolo sono riuscita a gestirlo ancora meglio, senza comunque sentirne il peso. Oggi, far parte di questa combriccola significa aggiungere un colore luminosissimo al mio prisma e riconoscerne tanti altri che forse non avevo visto o avevo voluto vedere prima; significa avere tante consapevolezze in più.”

Maurizia inizia la sua condivisione sui social grazie a David che crea la sua pagina “Diabetiamo” su Instagram nel 2019,e di quest’esperienza racconta: “l’ho aperta fondamentalmente per me stesso, per sfogarmi, poi piano piano ho iniziato a metterci tutto me stesso e la curo ogni giorno. In questo modo sono riuscito a trovare qualcuno che capisse, al contrario di quando parlavo con i miei amici, e così le persone conosciute tramite la pagina sono state parte del mio percorso verso l’accettazione della malattia. Ho capito che anche semplicemente un post ironico poteva rallegrare la giornata di un diabetico o di una mamma che stava male per il figlio in ‘iper’ e in questo modo non si sentiva più sola ma capita, proprio come me all’inizio di questa esperienza con Diabetiamo!”

Insieme a David anche altri hanno trovato nei social uno spazio prezioso di condivisione, ad esempio Ilenia due anni fa crea la pagina “Diametro” di cui racconta: “Ho sempre pensato di aver aperto la pagina per aiutare gli altri, in realtà era per fare pace con me, o quantomeno con una piccola Ilenia tutta ricci e ossa. Io il diabete ce l’ho da dodici anni e ce l’ho avuta a morte con gli adulti che avevo intorno perché non avevo una rappresentanza, non sapevo come si baciava col diabete, non sapevo come si correva col diabete. Alla fine ‘Diametro’ serviva a me per far pace con chi sono e con cosa ho, e spero di riuscire a dare con questa pagina almeno la metà di quello che ricevo!”.

Anche  Leonardo ha una pagina, “A spasso col diabete”, e il suo racconto sul diabete parte dall’inizio e ne sottolinea tutti gli aspetti per lui positivi: Purtroppo o per fortuna non ricordo una vita prima del diabete, l’ho avuto a 6 anni. Grazie a varie strategie, storielle e mooolta pazienza i miei genitori mi hanno aiutato a viverlo come il compagno di scuola con cui a volte litighi e altre volte ti da qualcosa in più. È vero il diabete comporta molte cose, ma tra queste anche la capacità di superare il normale andamento delle cose ed essere straordinari. Sì è vero, ci tocca essere infermieri, medici, informatici, chimici, cuochi, ingegneri. Ma è anche vero che poi in un modo o nell’altro facciamo cose che non tutti fanno. Il diabete mi ha dato questa spinta, mi ha fatto dire “dai facciamolo” a mille proposte; ed ecco che mi sono trovato a fare 100km in canoa, a fare trekking nel bel mezzo del nulla in Norvegia, a scalare montagne con uno zaino più pesante ma con un sorriso, arrivato in vetta, che niente e nessuno mi poteva togliere. Ad un certo punto però non basta, va bene confrontarsi con se stessi, ma l’uomo ha bisogno degli altri, e così anche io. Ora ho trovato una combriccola di suonatori di sensori come me”. È stato un solo incontro ma che ha già segnato il punto di inizio per un fantastico percorso.”

Herika mi racconta che all’esordio del suo diabete per trovare qualcuno che la capisse addirittura scaricò una specie di social americano per diabetici per poi, fortunatamente, venire a conoscenza di una ragazza milanese con una pagina Instagram in italiano, “senzazuccheri_aggiunti”. Il suo racconto infatti si concentra sul momento della diagnosi di cui dice: “Il mio esordio é stato strano, sono svenuta piu volte, ma i medici al pronto soccorso continuavano a diagnosticarmi un’anemia e io ho continuato a perdere peso. Poi dopo l’ennesimo svenimento e delle successive analisi, mi hanno trascinata di corsa da un diabetologo, che con stupore mi chiese ‘ma tu ci vedi ancora?’. E io, con altrettanto stupore, ‘perché non dovrei?!’ . Da lì in poi, il mondo si divideva in chi sa cosa sia il diabete e chi no. Non riuscivo ad accettare l’idea di non trovare nessuno che capisse, allora ho iniziato ad essere la prima a spiegare; mi informavo e raccontavo la mia esperienza.”
Anche Melissa mi parla del momento della diagnosi, particolarmente traumatico: “Il mio esordio è uno di quelli un po più sfortunati. Portata al pronto soccorso con 590 di glicemia, i medici mi hanno salvata per un pelo. Ricordo mi dissero che sarebbero bastati 5 minuti di traffico in più per strada e sarei entrata in coma diabetico. Mi ritrovai in terapia intensiva per 2 giorni, in pieno Covid, con la possibilità di vedere mia madre solo per un’ora al giorno ed il resto del tempo completamente sola. Uscita dall’ospedale non riuscivo ad accettarlo, pensavo fosse qualcosa di cui ci si dovesse vergognare.”

Il tema della vergogna torna anche nel racconto di Diletta Si, la vergogna, quel sentimento di colpa ed umiliante mortificazione che si prova per un atto o un comportamento, proprio o altrui, sentiti come disonesti, sconvenienti, indecenti. Io mi sono vergognata di essere me stessa in riferimento al diabete e me ne dispiaccio. Non volevo parlare del mio diabete in giro perché forse era più facile credere che nulla fosse cambiato, non volevo farmi le punture in pubblico e, soprattutto, non volevo essere guardata con pena dalle persone che avevo accanto e da chi avrei incontrato. Mi sono vergognata delle mie rinunce, dei no che ho dovuto dare perché non sapevo come avrebbe potuto rispondere la glicemia e dei segni dell’abbronzatura lasciati dal sensore e poi dal microinfusore. Un giorno, però, è arrivato il bisogno più grande, quello di confrontarmi e condividere la mia quotidianità, ormai inevitabilmente plasmata e modificata, con chi stava vivendo il mio stesso viaggio. Ho iniziato a vedere in giro sempre più persone con il sensore e non ti nego l’emozione nel non sentirmi più sola ma, finalmente, compresa. Scambiare esperienze, emozioni, storie arricchisce e, per quanto sia complessa la gestione del diabete, se condivisa pesa davvero la metà.  Sono grata di non essere sola in questo viaggio perché l’amore si moltiplica, sempre.”

Anche per Arianna quel momento di svolta nell’accettazione della malattia è saldamente legato alla condivisione: “Ho cominciato a cercare aiuto e l’ho trovato in tanti ragazzi e ragazze, sparsi in tutta Italia e non solo, che solo condividendo la loro quotidianità mi hanno fatto sentire di non essere sola, di avere la forza per affrontare questa paura, di superarla e di rendere il diabete una caratteristica e non un limite. Ho ricominciato a fare sport, a godermi le vette delle mie preziose montagne, i pomeriggi in canoa al lago, a buttarmi come facevo prima nelle cose, con consapevolezza e sempre con occhio vigile, ma con quella leggerezza che non mi apparteneva più da tempo. A inizio anno ho deciso di affidarmi a Laura (anche lei diabetica di tipo 1 come me), per gestire meglio la mia alimentazione e le mie glicemie. Subito si è creata una bella intesa, tanto che quando mi ha proposto quest’idea dell’incontro a Roma con altri ragazzi DT1 ho detto si prima ancora che potesse finire la frase!”.

Dall’altra parte della condivisione, nel racconto di Elena ritrovo il grande buio della solitudine, lei utilizza un ricordo preciso per provare a spiegare come si è sentita nel momento della scoperta della malattia:  “Ero in riunione di reparto durante il mio tirocinio; saremo state una trentina di persona tra medici, psicologi e terapisti. Squilla un telefono. Una bambina ricoverata aveva avuto una grave crisi epilettica. Sono scattati tutti in piedi, il tempo di chiedere dove fosse la bambina, e i medici si sono fiondati da lei. In un attimo la palestra dove facevamo la riunione era vuota. Io avevo fatto a malapena in tempo ad alzarmi, che non c’era più nulla. Solo la palestra. E io lì, che non sapevo cosa fare. Ero felice che la priorità fosse stata data alla bambina, che trenta persone si fossero fermate per lei, per aiutarla, non esisteva più nulla se non lei. Ma io, quando ho scoperto di avere il diabete, non mi sono sentita così. Mi sono sentita come alla riunione, rimasta in quella stanza vuota, in cui non c’era più nulla, e non capivo cosa fosse successo. Il mondo si muoveva e io no. Mi sono dovuta risvegliare. Ma la stanza dei medici non si era lanciata a darmi la priorità. Io non ero quella bambina. Ero me stessa, nella palestra vuota”.

Valerio invece descrive il momento dell’esordio come “la fase 1, avvenuta durante le medie, un mondo fatto di controlli, ospedali e studio di cosa volesse dire avere il diabete. Da lì parte la seconda fase che è quella della convivenza con la patologia. In questa fase si può dire che io abbia nascosto ai più il fatto di essere diabetico, continuando a fare tutto quello che facevano i miei coetanei. Nel mio privato ovviamente continuavo a seguire diligentemente la terapia e affrontavo quella che, tra me e me, definivo la ‘difficoltà al livello 2’ nel gioco della vita. La terza fase ha cominciato a manifestarsi da un paio d’anni a questa parte. Per una serie di motivi ho deciso che non aveva più senso nascondersi al mondo ed ho iniziato a fare più attenzione a mestesso e a cosa significasse avere una community alla quale poter fare riferimento. Scoprendo i vari profili Instagram di persone che, nel modo più naturale possibile, parlavano di diabete ho capito di non essere più l’isola che ero fino a poco tempo fa, che intorno a me è pieno di gente bellissima che vive le mie stesse difficoltà ma anche le mie stesse gioie collegate alla patologia.”
Anche per Martina “i momenti di socialità sono una gioia e ho ricominciato anche a viaggiare, una delle mie più grandi passioni. La condivisione mi ha aiutata tantissimo fin dall’inizio; sapere che c’erano tante altre persone come me, che vivevano le mie stesse paure, soddisfazioni e incertezze mi ha fatta sentire meno sola!”

Per me, che ormai studio nutrizione umana da diversi anni, trovarmi con tutti loro a Roma a condividere una merenda è stata la conferma che il cibo tocca sfere della nostra esistenza impossibili da trovare nei libri universitari. Ho perso il conto degli esami fatti in cui mi veniva chiesta una qualsiasi nozione sul diabete, sul controllo delle glicemie, sulla conta dei carboidrati, eppure, per quanto quella parte teorica resti imprescindibile per qualsiasi professionista, c’è un lato esistenziale di questa materia che è possibile scoprire solo alzandosi dalla scrivania e condividendo esperienze con gli altri. In questo caso “gli altri” sono stati un gruppo di giovani che mi hanno accolta con entusiasmo rispondendo alle mie domande, nonostante io fossi una sconosciuta e con loro (fino a quel momento) c’entrassi poco o nulla!


 

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