Alimentazione – L’intervento 5/23

Il contributo di MICHELE ANTONIO FINO
Sintesi dell’intervento pubblicato sul proprio profilo Instagram circa la decisione irlandese di attuare nuove norme sull’etichettatura delle bevande alcoliche. Per visionare l’intervento integrale basta cliccare qui


UBRIACHI DI… FAKE NEWS!
L’Irlanda ha richiesto all’Unione Europea di apporre sulle etichette delle bevande alcoliche avvertenze sanitarie obbligatorie, e nel nostro paese si è scatenata una guerra mediatica alimentata ad arte.

La notizia è rimbalzata ovunque a partire dai comunicati stampa, la cui consistenza è sempre opinabile: sempre più frequentemente le agenzie di stampa hanno cominciato a muoversi nell’ottica del clickbaitin cui, non è tanto la notizia in sé ad essere rilevante, quanto il modo in cui la notizia viene comunicata e poi rilanciata. Se al tono tossico utilizzato dalle agenzie si aggiunge l’imprudenza di diversi soggetti istituzionali che lo diffondono, si capisce come mai nel nostro paese dilaghi l’odio nei confronti di questa misura erroneamente imputata alla Commissione Europea “colpevole” di aver autorizzato l’Irlanda ad inserire alcune diciture sulle etichette degli alcolici. Questa è la prima notizia falsa che è stata diffusa (probabilmente per ignoranza): le norme sulle nuove diciture da apporre in etichetta sono state votate in Irlanda in seguito ad un piano lanciato nel 2016 e proseguite con una legge nazionale del 2018, con lo scopo di contrastare il problema dell’alcolismo all’interno del paese. Quindi l’Irlanda ha votato, all’interno del Parlamento irlandese, una legge irlandese, per richiedere determinate informazioni di carattere sanitario da aggiungere sulle etichette degli alcolici venduti in Irlanda.

In ottemperanza al regolamento europeo 1169 del 2011 l’Irlanda ha comunicato all’Unione Europea che avrebbe richiesto queste informazioni in etichetta. Questo passaggio è diventato necessario perché in passato è gia successo che si scambiassero per informazioni di carattere sanitario alcune misure che invece servivano a frenare la libera circolazione delle merci all’interno dell’unione; in materia di etichettatura l’Unione Europea ha quindi stabilito che quando un paese intende apporre qualcosa di “extra” in etichetta, deve prima informare la Commissione circa il contenuto della dicitura. La Commissione Europea ha solo il compito di verificare che si tratti effettivamente di informazioni sanitarie e non di informazioni che modificano la concorrenza sul mercato. Le avvertenze sanitarie sono SEMPRE ammesse in quanto rientrano nelle politiche sanitarie progettate e attuate dagli Stati membri e su cui l’Unione può, al massimo, esercitare un coordinamento e una competenza condivisa; viceversa, sulle informazioni per la tutela dei consumatori e la libera circolazione delle merci, l’Unione esercita una potestà primaria, ossia superiore a quella degli Stati. La stessa cosa è già accaduta in Francia quando il Parlamento francese ha stabilito l’obbligo di aggiungere in etichetta il logo della donna incinta col bicchiere sbarrato. È lo stesso tipo di informazione sanitaria che ha aggiunto adesso l’Irlanda, non è lo stesso contenuto ma lo stesso tipo, quindi la Commissione Europea non ha avuto nulla da eccepire né ora né allora.

La stampa italiana invece ha riportato questa dinamica in maniera del tutto scorretta imputando a Bruxelles un ruolo decisionale quando invece si tratta di una decisione libera, autonoma e giustificata di Dublino. Dico “giustificata” perché anche l’Istituto Superiore di Sanità nelle sue pubblicazioni divulgative sottolinea quali siano i rischi del bere; queste informazioni sono assolutamente conosciute e pertanto sappiamo esattamente i dati epidemiologici di mortalità connessa al consumo di alcolici. Gli Irlandesi, oltre ad essere giustificati dai dati, hanno anche uno specifico e puntuale problema che è l’intossicazione acuta da alcol. Sul sito del Ministero della sanità irlandese si possono consultare i dati: ogni anno muoiono circa 200 persone perché hanno bevuto fino a morire. Proporzionalmente è come se in Italia morissero in questo modo 2.000 persone all’anno. Se in Italia avessimo 2.000 casi di morti per intossicazione acuta chiederemmo semplicemente delle indicazioni in etichetta? Forse partirebbe una crociata proibizionista colossale! È importante rifletterci perché è proprio così che nascono le norme e sono giustificate nel paese in cui nascono! In Italia in realtà i dati ci dicono che i morti all’anno per patologie correlate all’alcol sono circa 10 volte rispetto a quelli da intossicazione acuta in Irlanda, ma la distribuzione di questi decessi è molto diversa perché è conseguenza di un’intossicazione cronica (non acuta), e quindi è anche diversa la sensibilità e la reazione verso questi dati.

L’Unione Europea si sta già occupando della prevenzione rispetto ai rischi sulla salute dovuti al consumo di alcol, ad esempio imporrà di mettere il valore delle calorie comprendenti l’alcol, di inserire delle diciture riguardanti gli ingredienti delle bevande alcoliche, auspicabilmente prevederà anche di inserire dei claimper i consumatori. È un processo che sta andando avanti ed è auspicabile che avvenga in maniera coordinata tra tutti i paesi, anche perché questo tipo di decisioni non hanno mai fatto venir meno l’indipendenza sanitaria di ciascun paese membro (come invece si legge in giro).

La notizia della decisione irlandese non solo è stata posta come un problema di ingerenza dell’Unione Europea rispetto alla libera sovranità nazionale, ma è stato anche lanciato un allarme a reti unificate come se si stessero richiedono delle specifiche indicazioni terroristiche contro il vino italiano. È importante invece sottolineare che queste indicazioni da aggiungere in etichetta non sono state pensate per il vino italiano, ma anzi, sono avvertenze obbligatorie su qualunque bevanda alcolica, compresa la birra e il whisky, di cui, come è noto, gli irlandesi sono grandi produttori (ed esportatori). È interessante come in Francia e in Spagna, che sono di gran lunga i due paesi che esportano più vino verso l’Irlanda, non sia uscita una singola riga rispetto a questo pericolo imminente di cui hanno parlato i nostri giornali! Abbiamo quindi dei motivi piuttosto evidenti per ritenere che chi ha parlato di “attacco all’Italia”, di “odio alla dieta mediterranea” e cose di questo tipo, abbia fatto cherry-pickingoppure abbia banalmente distorto i fatti con lo scopo di creare quella classica contrapposizione (già vista tantissime volte in epoca covid) del “noi contro loro”. È stata montata ad arte una retorica nazionalistica per cui gli irlandesi e l’Unione Europea stavano attentando alla nostra identità. È lo stesso meccanismo per cui se si autorizzano le proteine del grillo per farci delle farine destinate al consumo umano, questo è visto come un attacco alla dieta mediterranea!

Lo stesso tipo di comunicazione fuorviante è stato utilizzato anche per quanto riguarda il merito di queste avvertenze sanitarie (previste dagli irlandesi e sottoposte alla Commissione Europea) che riguardano essenzialmente la correlazione tra alcool e malattie del fegato e diverse tipologie di cancro. Queste sono correlazioni del tutto assodate e non riguardano solo l’Irlanda, nel nostro paese il 10% delle tipologie tumorali e il 45% delle tipologie di cirrosi e di malattia epatica in generale sono alcol correlate. La critica che viene mossa contro questi nuovi claimsi basa su una possibile minor incidenza di disturbi cardiovascolari per persone tra i 40 e i 60 anni che fanno un consumo moderato di alcol. Il problema è che in realtà questo effetto cardioprotettivo non può essere ricondotto univocamente al consumo di alcol poiché è stato riscontrato solo in uomini bianchi di reddito medio alto con una buona educazione, il che fa sospettare che potrebbero esserci altri elementi, nella loro vita e nella loro dieta, responsabili della minore incidenza di eventi cardiovascolari in questi soggetti. A ulteriore dimostrazione di ciò, quando il campione di studio comprende anche gruppi sociali diversi per etnia e per reddito non si riscontra una ridotta incidenza per le malattie cardiovascolari e addirittura si nota una minor capacità di protezione collegabile all’alcol.

Ancora oggi enologi, giornalisti e produttori di vino si sforzano di dire “sì vabbè, ma il vino fa anche bene” e spesso si confonde questo effetto cardioprotettivo appena citato con una generica “diminuzione della mortalità”, come se un effetto positivo annullasse tutti gli altri effetti negativi, ma purtroppo no, il bere con moderazione non annulla il rischio legato al consumo di alcol! Non c’è nemmeno uno studio che si occupi degli effetti teoricamente positivi collegati al consumo di bevande alcoliche che dica “pertanto si consiglia alle persone a rischio di problemi cardiaci di bere un pochino”. Non lo fa nessuno perchè i rischi connessi al consumo di alcolici sono sempre superiori ai benefici auspicabili!

D’altro canto questo non significa che i produttori siano degli avvelenatori e che debbano vergognarsi, ma significa che bisogna cercare di fare pace con una cosa fondamentale della nostra cultura: il consumo moderato di alcolici è un elemento conviviale, è un elemento che, si dice, “lubrifica le relazioni sociali”, ed è per questo che il consumo di alcolici è cosi radicato nella nostra storia e persino nelle religioni. Non è questione di dire “fa male quindi deve essere proibito”; non possiamo pensare che tutto ciò che permette alle persone di avere un piacere edonistico, non direttamente correlato ad una attività produttiva o perfettamente sana, salubre e priva di rischi, debba essere vietato, altrimenti dovremmo vietare le spiagge affollate d’estate per l’aumento del rischio di tumore della pelle. L’unico modo in cui una società libera, in cui le persone possono anche fare cose pericolose per il proprio piacere, è quella di gestire il rischio attraverso l’informazione.”


MICHELE ANTONIO FINO
è professore associato presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo dove insegna i corsi di fondamenti di Diritto europeo, Advanced Food and Trade Law, Ecologia Giuridica e Forme Storiche della Sovranità, Entrepreneurial Strategy, Retorica per la Gastronomia. Collabora, quale articolista e commentatore, con riviste tecniche dedicate all’agricoltura: Informatore Agrario, Vite&Vino, L’imprenditore agricolo. È consigliere giuridico della Federazione Italiana dei Vignaioli Indipendenti (FIVI).


 

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