GUSTO E DISGUSTO
a cura di MARCO SANTARELLI
L’ESAME DI ITALIANO (DOC)
Il nazionalismo saltato in padella
La stampa e l’informazione tutta in estate scarseggiano di notizie, ragion per cui raschiano il fondo del barile dei comunicati delle agenzie, ritagliando qua e là qualche scaldaletto, ingrossando una notiziola da bollettino parrocchiale e, qualche volta, inventando.
Oppure si buttano sul magmatico e mangereccio: mai come in estate tante notizie sulla cucina, le più estrose e bizzarre. Si va da come si lava la frutta, a cosa mangiare contro le zanzare; dai cibi da mangiare per arrivare sani e forti ai cent’anni, ai cibi per mantenere l’abbronzatura…
E poi i cibi del futuro, cosa si mangia costì e costà, come si cucina in quattro e quattr’otto e chi più ne ha, più ne metta fino ad arrivare alle “7 ricette di pasta che un italiano d.o.c. deve saper fare”, titolo di un articolo di un magazine femminile di un grande giornale italiano. Sette ricette simbolo – secondo la rivista – della cucina italiana e che i cultori della pasta devono saper fare, solo così dimostrando di essere veri italiani.
Insomma una aggiunta al passaporto, nonché un inedito criterio di cittadinanza: se vuoi riconoscere un italiano doc, basta fargli cuocere la gricia o le lasagne al forno. Ecco un modo infallibile per fregare lo straniero che voglia stabilirsi da noi, al quale non basterà più un esame di lingua, un lavoro, una casa, amici e affetti, il traffico, gli orari, né una dichiarazione dei redditi: se non farà le lasagne come dice il giornale, addio italianità. Dato poi che le lasagne al forno, più che un piatto, sono un genere, si può immaginare la quantità di modi, tutti diversamente italiani doc, per prepararle.
L’esame di italianità si prevede tanto dibattuto quanto incerto e confuso… La superficialità scivolosa e il nazionalismo da spiaggia di questi “servizi” giornalistici estivi non procura certo un gran servizio, pardon, alla cucina italiana: solo procedendo per slogan e frasi fatte, lasciandosi andare alla retorica dell’autenticità italiana, si può pensare di ingabbiare la tradizione della pasta in appena sette ricette. E poi si fa un torto immenso proprio alla tanto decantata genialità e creatività italica che, in cucina, si è sviluppata nei secoli nell’affannosa ricerca di sapori giusti e azzeccati, con quel poco che si aveva a disposizione. Evidentemente il benessere ha fatto evaporare un poco di creatività.
Ma ecco i piatti citati nell’articolo in questione: penne all’arrabbiata; pasta col tonno; pasta alla gricia; all’amatriciana; alla carbonara; al pesto e in ultimo lasagne al forno con ragù di carne. Dall’elenco appare chiaro che la scelta è senza senso, accomuna pasta secca e pasta fresca, e in definitiva sembra più un elenco rivolto ad un turista straniero che non ad una lettrice/ore italiana e troppe sono le dimenticanze di piatti celebri e popolari.
Come il seguente, che nella sua povertà radicale se non altro ha il merito di porsi come grado zero dello spaghetto, eseguibile dovunque e senza bisogno di passaporti
SPAGHETTI ALLA MOLLICHELLA
(da L’arte della cucina nella tradizione napoletana)
Per 4 persone: spaghetti di grano duro g 280; olio d’oliva dl 1; aglio 2 spicchi; pangrattato g 80; prezzemolo ½ mazzetto; sale.
Cuocere al dente gli spaghetti in abbondante acqua molto salata.
Nel frattempo, in un pentolino, far rosolare nell’olio l’aglio tritato fino; quando acquista un bel colore biondo scuro, unbirvi il pangrattato e il prezzemolo tritato.
Rimestare e cuocere per circa 10 secondi.
Versare la salsa sugli spaghetti cotti al dente e ben sgocciolati, mescolare e servire.