
I FILM DEL MESE
a cura di MARIO MAZZETTI
fice.it – Federazione Italiana Cinema d’Essai
DENTI DA SQUALO
di Davide Gentile
Sceneggiatura: Valerio Cilio, Gianluca Leoncini | Fotografia: Ivan Casalgrandi | Montaggio: Tommaso Gallone | Musiche: Michele Braga, Gabriele Mainetti
Interpreti: Tiziano Menichelli, Stefano Rosci, Virginia Raffaelle, Edoardo Pesce, Claudio Santamaria
Produzione: Goon Films, Lucky Red, Idea Cinema, Rai Cinema | Distribuzione: Lucky Red
Italia 2023 | colore 103’
Nelle sale dall’8 giugno
È un’estate letteralmente incredibile quella di Walter, un ragazzino di tredici anni che vive con la madre in un caseggiato popolare sul litorale romano. Alla sua opera prima, Davide Gentile trova la giusta cifra stilistica per dirigere questo racconto di formazione ammantato di mistero, con i sogni grandissimi e le paure altrettanto grandi di chi scopre la vita, in una vecchia villa abbandonata da anni. Ma la villa abbandonata non è: c’è un giovane guardiano, delinquentello irresistibile agli occhi ingenui di Walter, ci sono saloni decadenti e magnifici, e c’è una piscina, nelle cui torbide acque nuota uno squalo. Ci sono anche un passato e un presente molto reali, con cui il giovane protagonista deve fare i conti: la recente morte del padre per un incidente sul lavoro, e la criminalità organizzata a cui la sua famiglia non è stata estranea in passato, che adesso lo attende in una prova di coraggio per diventare uomo, com’era suo padre. È qui che il film di Gentile, scritto da Valerio Cilio e Gianluca Leoncini, Premio Solinas 2014, non è più un film di formazione classico ma lo è alla rovescia, nobilitando l’infanzia piuttosto che premiando il diventare grandi. Quella di Walter è un’infanzia in cui deve fare pace con il ricordo di suo padre, con la madre e soprattutto con chi vuole diventare.
Questa di Gentile è una fiaba drammatica, con un cast ben scelto a cominciare dal giovanissimo Tiziano Menichelli, che porta avanti il film con la fragilità nervosa e intensa della sua giovane età e non teme il confronto con due attori consumati, che si prestano a piccoli ma importanti ruoli: Edoardo Pesce, che sembra divertirsi molto nel ruolo del temutissimo capo della banda criminale, e Claudio Santamaria nei panni del padre, con un passato ingombrante e scelte sbagliate alle spalle. Virginia Raffaele è la madre, in lotta con il figlio adolescente, il dolore per la morte del marito e la sopravvivenza quotidiana tra pochi soldi e tante incomprensioni, eppure non manca di quella spavalderia allegra, ben nota al pubblico televisivo.
Denti da squalo si destreggia bene tra elementi realistici, sociali, magici, avventurosi, fra toni sentimentali e ironici, con una strizzatina d’occhio alla simbologia dei racconti epici: il legame tra Walter e lo squalo è lo specchio della consapevolezza del viaggio interiore del ragazzino, che lo porta a capire il valore della libertà. (Chiara Barbo, da Vivilcinema n. 3/2023)
OLGA
di Elie Grappe
Sceneggiatura: Raphaëlle Desplechin, Elie Grappe | Fotografia: Lucie Baudinaud | Montaggio: Suzana Pedro | Musiche: Pierre Desprats
Interpreti: Anastasia Budiashkina, Sabrina Rubtsova, Caterina Barloggio, Théa Brogli, Tanya Mikhina, Jérôme Martin
Produzione: Point Prod, Cinémadefacto, Cinéforom | Distribuzione: Wanted Cinema
Svizzera-Francia-Ucraina 2021 | colore 85’
Nelle sale dall’8 giugno
Fa ancora più effetto vedere oggi Olga, il febbrile, compatto esordio del franco-svizzero Elie Grappe premiato alla Semaine de la Critique 2021. Ambientato nel 2013-2014, il film segue il percorso di una ginnasta ucraina 15enne, determinata a partecipare agli Europei mentre la madre giornalista, che si batte contro la corruzione e la politica filorussa del presidente Janukovyc, è oggetto di minacce e aggressioni. Olga viene spedita in Svizzera, paese natale del defunto padre, per il duro allenamento con compagne inizialmente ostili e una lingua che non padroneggia, mentre a Kiev prende vita la rivoluzione di piazza Maidan, che da un lato scatena la repressione delle forze di sicurezza, dall’altro finirà per provocare la fuga del presidente (e la reazione di Putin). Determinazione d’atleta da una parte, ansia e stress per quanto accade alla madre e ai suoi (ex) connazionali dall’altra.
Il film è interpretato dalla ginnasta professionista Anastasia Budiashkina (“un robot”, la definisce la capitana delle svizzere che non l’accoglie di buon grado), Grappe è molto bravo nel definire e collegare i contesti: la frustrante lontananza da casa, i contatti con le amiche a Kiev e il parziale smembramento della squadra, nella fallace distinzione tra sport e politica; le drammatiche, vere immagini di piazza Maidan e l’incertezza sulle sorti della madre. Il tutto con la dedizione incrollabile per uno sport massacrante, che diventa uno scopo di vita. Una visione intensa e appagante. (Mario Mazzetti, da Vivilcinema n. 2/2023)
EMILY
di Frances O’Connor
Sceneggiatura: Frances O’Connor | Fotografia: Nanu Segal | Montaggio: Sam Sneade | Musiche: Abel Korzeniowski
Interpreti: Emma Mackey, Oliver Jackson-Cohen, Fionn Whitehead, Alexandra Dowling, Gemma Jones
Produzione: Tempo Productions, Arenamedia, Embankment Films, Ingenious Media, Popara Films | Distribuzione: Bim
Regno Unito/USA 2022 | colore 130’
Nelle sale dal 15 giugno
L’Emily che dà il titolo al film di Frances O’Connor, attrice australiana (Mansfield Park) qui alla prima prova da regista, è Emily Brontë, autrice del classico della letteratura inglese Cime tempestose. Morta a 30 anni dopo una vita segnata da lutti familiari ma anche dall’amore per le lettere condivisa con tutti i fratelli, Emily è tuttora una figura abbastanza enigmatica, della quale rimane solo un ritratto. Di lei si sa che trascorse l’intera vita nello Yorkshire, tranne brevi parentesi a Bruxelles, e che pubblicò il suo capolavoro sotto pseudonimo maschile, così come fecero le sorelle Charlotte e Anne, autrici rispettivamente di Jane Eyre e Agnes Grey.
Nell’epoca vittoriana, tre sorelle nubili e scrittrici erano già una rarità, ma ciò che suscitò clamore e rigetto nel 1847, quando Cime tempestose fu pubblicato, fu la forza fiammeggiante della passione autodistruttiva fra i protagonisti Heathcliff e Catherine. O’Connor va alla ricerca delle motivazioni della visione del mondo di Emily, ricostruendo la sua vita fra realtà e fantasia, dati biografici e innesto di ispirazioni tratte dal romanzo. La sua Emily, interpretata da Emma Mackey (Maeve in Sex education), è una giovane donna inquieta e refrattaria alle convenzioni sociali, tanto che in paese la chiamano “la strana”. Non si rassegna a fare l’insegnante come la sorella Charlotte ma cerca di dar voce alla sua anima attraverso la poesia. Il suo carattere ribelle trova corrispondenza nel fratello Branwell (Fionn Whitehead). Il loro legame non si spezzerà mai, nonostante la lontananza e il tradimento, così come l’attaccamento di Emily alla sua terra e al piccolo mondo della canonica, governato dal padre.
Il rapporto fra fratello e sorella allude chiaramente a quello dei protagonisti di Cime tempestose e molti altri elementi del libro entrano nel film (la brughiera battuta dal vento e dalla pioggia), insieme a spunti completamente inventati, come la storia d’amore impossibile col curato. Il ritratto della scrittrice che ne scaturisce è quello di una classica eroina romantica, che sembra perdere, nel corso del film, gli elementi più interessanti mostrati all’inizio, come una certa furia interiore intimamente connessa alla creazione di un romanzo imperniato sulla crudeltà. A proposito del romanzo, chi può recuperi la versione cinematografica di Andrea Arnold (2011), l’unica che ne restituisca pienamente l’atmosfera cupa e maledetta di ossessione amorosa e terra malsana, incubatrice di malattie e di morte. Barbara Corsi (Barbara Corsi, da Vivilcinema n. 1/2023)
HOURIA
di Mounia Meddour
Sceneggiatura: Mounia Meddour | Fotografia: Léo Lefèvre | Montaggio: Damien Keyeux | Musiche: Maxence Dussère, Yasmine Meddour
Interpreti: Lyna Khoudri, Rachida Brakni, Nadia Kaci, Hilda Amira Douaouda
Produzione: The Ink Connection, High Sea, Cirta Films, Les Productions du Ch’timi | Distribuzione: I Wonder
Algeria/Francia 2022 | colore 104’
Nelle sale dal 21 giugno
Dopo Non conosci Papicha, Mounia Meddour torna con un nuovo canto di resilienza ed emancipazione delle donne algerine, che punta a intrattenere e far riflettere attraverso l’ardua ricerca dell’affermazione personale (e dell’espressione artistica) in una società patriarcale, ancora traumatizzata dal “decennio nero” della guerra civile.
Protagonista è la giovane Houria (“libertà” in arabo), danzatrice che nella prima scena si esercita su una terrazza sul mare. Scenario idillico, ma la realtà è ben diversa: poche risorse, la madre che si arrabatta, l’occasione facile di far soldi scommettendo sui combattimenti tra arieti. Una vincita scatena però un atto di violenza che le provoca un grave danno, proprio alla vigilia di un’importante occasione professionale: la ragazza si ritrova menomata, affetta da mutismo, depressa – e minacciata, perché i terroristi degli anni ‘90 sono gli informatori di oggi. L’incontro decisivo è con un gruppo di vere reiette, donne emarginate, colpite nel fisico o nello spirito dalla violenza del passato: dedicandosi a loro, mentre l’amica del cuore intraprende il viaggio della speranza, Houria troverà un posto nel mondo e un senso di realizzazione inaspettato.
Lyna Khoudri (vista nel frattempo in November e I tre moschettieri) dà forza a una narrazione che fa ampio uso di metafore ma che, in virtù di una regia dinamica e di un accurato ritratto sociale, si fa seguire col suo carico di rabbia e dolore. E, soprattutto, di speranza. (Mario Mazzetti, da Vivilcinema n. 3/2023)
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