IL LIBRO DEL MESE
a cura di ALESSIO ZAMBARDI
libreriailmattone.it – Via Giacomo Bresadola, 36 – 00171 Roma – Tel. 06.25210252 – info@libreriailmattone.it
LA FERROVIA SOTTERRANEA
di COLSON WHITEHEAD
(Traduzione di Martina Testa)
Romanzo, SUR edizioni
Stati Uniti, XIX secolo. Esisteva davvero.
C’erano questi “ingressi” nascosti il più possibile, si scendeva giù e, quasi nel buio totale, si aspettava il passaggio del treno sotterraneo. C’erano i binari e tutti il resto. Raggiungere uno di questi ingressi era l’obiettivo principe di qualsiasi schiavo che avesse intenzione di fuggire dai campi di cotone. Anche per Cora e Caesar era così.
Stanchi di essere trattati come oggetti decidono di fuggire dal campo. Caesar ha saputo di un ingresso non molto lontano dal campo e quindi partono tutti e tre: Caesar, Cora e la paura. Sanno che, se scoperti, non verranno perdonati.
Cora spero in cuor suo di riconciliarsi con la madre Mabel, fuggita anni prima dal campo e ancora ricercata dai cacciatori di schiavi, che ora sono anche sulle loro tracce. Ma la schiavitù a volte può nascondersi anche dietro un’apparente libertà, e bisogna fare un lavoro enorme su se stessi per capirlo. Cora sarà dunque costretta a fuggire di nuovo da una schiavitù diversa, lavata e ripulita.
Ma che sempre di schiavitù si tratta.
Una narrazione straordinaria ma allo stesso tempo cruda, spietata e a tratti violenta. Ma necessaria.
Nella realtà, ovviamente, la “ferrovia sotterranea” non era una ferrovia fisica, ma era una rete informale di itinerari segreti e luoghi sicuri utilizzati dagli schiavi afroamericani per fuggire negli stati liberi (o in Canada) con l’aiuto degli abolizionisti.
Colson Whitehead dipinge un quadro straordinario, anche se nel farlo usa colori già usati da altri autori in altri libri (si pensi a “Radici” di Alex Haley o a “La capanna dello zio Tom” di Herriet B. Stowe) eppure riesce a far sentire il tutto di un’attualità sconcertante. Posso garantire che, chiusa l’ultima pagina, avrete occhi diversi su lavoro, paga e immigrazione.
E soprattutto occhi diversi sull’indifferenza: la nostra.