Intorno al gelato – La storia 3/23

LA STORIA

IL MIRACOLO DEL GHIACCIO PRIMA DEL FREEZER

Diciamo la verità: i francesi non hanno mai digerito il fatto che non siano stati loro gli inventori del gelato. Al tempo del Café Procope, un certo signor Audiger che si fregiava del titolo di limonadier reale, andava dicendo in giro che era lui il vero inventore del sistema per ottenere il gelato. Altri limonadier spargevano la voce di metodi segreti o di famiglia per gelare un liquido.
Quasi per mettere a tacere leggende di segreti e misteri, Jean Baptiste de la Quintinie, “direttore dei giardini, frutteti e orti di tutte le case reali”, due anni dopo l’apertura del caffè del contestato siciliano e poco prima della sua morte, pubblicò quella che per l’Italia del sud era una pratica diffusa, ma che nella Parigi di allora era una contrastata invenzione: “Il sale ordinario, applicato intorno a un vaso ripieno di liquido e contornato di ghiaccio, ha il potere di congelare il liquido stesso. E così, durante la canicola, si può creare una deliziosa neve artificiale”.
Ma come si produceva il ghiaccio?
Per la sua produzione, conservazione, trasporto si sviluppò un vero e proprio mestiere con un relativo, prosperoso commercio, che i tempi moderni hanno cancellato completamente dalla memoria. “…le automobili, che tirano spesso oltre i limiti, danno la misura del tempo trascorso da quando su questo percorso viaggiavano – velocità 4 chilometri all’ora – le lunghe carovane di barrozze, i carri a due ruote, trainati da una coppia di buoi. Ogni carico di ghiaccio si aggirava sui 750 kg e, per limitare lo ‘squaglio’, veniva trasferito di notte; godendo, in base a un codice stradale che dava grande importanza a un bene di consumo primario, di uno speciale diritto di precedenza.”
I blocchi di ghiaccio si ottenevano dalla neve: “nelle buche, foderate di paglia, la neve veniva compressa, ricoperta di altra paglia, continuamente sorvegliata e ricolmata per evitare infiltrazioni d’aria. Trasformata in ghiaccio veniva infine tagliata in blocchi da cinquanta chili e caricata sui muli che la trasportavano al capolinea delle barrozze per essere immessa in una catena distributiva che prevedeva vari depositi intermedi, dalle conserve cilindriche semi interrate e chiuse ermeticamente alle cantine di palazzi, conventi, ospedali”. (L. Villoresi, “La Repubblica”, 2007).



 

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