I FILM DEL MESE
a cura di MARIO MAZZETTI
fice.it – Federazione Italiana Cinema d’Essai
GREEN BORDER
di Agnieszka Holland
Sceneggiatura: Maciej Pisuk, Gabriela Lazarkiewicz-Sieczko, Agnieszka Holland | Fotografia: Tomasz Naumiuk | Montaggio: Pavel Hrdlicka | Musiche: Frédéric Vercheval
Interpreti: Jalal Altawil, Maja Ostaszewska, Behi Djanati-Atai, Tomasz Wlosok, Maciej Stuhr
Produzione: Metro Films, Blick, Marlene Film, Beluga Tree | Distribuzione: Movies Inspired
Polonia/Francia/Repubblica Ceca/Belgio 2023 | colore 147’
Nelle sale dall8 febbraio
Green border segna una svolta nel modo di affrontare l’odissea dei migranti: la 75enne autrice affronta un tema scottante dall’interno dei confini polacchi, pur consapevole che a determinare l’emergenza è stato l’atto ostile del dittatore bielorusso Lukashenko, stretto alleato di Putin, che ha attirato esuli dalla Siria, dall’Afghanistan e da altri paesi a rischio per poi spingerli ad attraversare il confine con la Polonia.
Tra i vari personaggi, una famiglia siriana che ha perso tutto e punta a raggiungere un parente in Svezia. Nella prima sequenza, la madre afferma che “solo in aereo potevo pensare di raggiungere l’Europa, in barcone non l’avrei mai fatto” e d’altronde ha con sé tre figli, due dei quali molto piccoli. Quello che non può immaginare è che le conseguenze saranno le stesse, salvo che stavolta non siamo in un lager libico o al centro della propaganda xenofoba tunisina: come in Grecia, in Croazia o al confine tra Francia e Italia, il respingimento è brutale, soldati e guardie di frontiera si palleggiano i migranti, se necessario usando la forza bruta anche su donne incinte, anziani o bambini. La lunga notte della ragione si alimenta di propaganda, i media trattano le vittime come pericolosi terroristi o elementi perturbanti, costrette a stazionare nella foresta al gelo e senz’acqua. Solo una rete di volontari assicura loro assistenza, nei limiti del possibile.
Holland parte dall’autunno 2021 e si ferma a febbraio 2022, quando in un confine non molto distante due milioni di cittadini ucraini sono stati accolti a braccia aperte dalla Polonia come da tutti i paesi UE, gli stessi che negoziano per inasprire i controlli e trascurare i soccorsi. Narrativamente articolato, con slittamenti di punti di vista e personaggi, il film, Premio speciale della giuria veneziana, adotta un bianco e nero che inasprisce la cupezza dell’insieme, con una lucidità di visione che amplifica gli orrori e inchioda la disumanità della gestione dell’emergenza, concedendosi solo di rado qualche elemento retorico, nel personaggio del militare futuro padre o nell’incontro finale tra ragazzi polacchi e magrebini, unico elemento possibile di convergenza. Inutile dirlo, il governo polacco ha accolto malissimo il film, paragonando una maestra del cinema europeo ai propagandisti del nazismo. Eppure, il film regge l’analisi tanto estetica quanto umanitaria, in un abbinamento ideale a Io capitano per la tensione morale e l’apporto al dibattito su cosa sia diventata l’Europa. (Mario Mazzetti, da Vivilcinema n. 1/2024)
LA ZONA D’INTERESSE
di Jonathan Glazer
Sceneggiatura: Jonathan Glazer dal romanzo di Martin Amis | Fotografia: Łukasz Żal | Montaggio: Paul Watts Musiche: Mica Levi
Interpreti: Sandra Hüller, Christian Friedel, Ralph Herforth
Produzione: Extreme Emotions, Film4Productions, House Productions | Distribuzione: I Wonder
USA/Regno Unito/Polonia 2023 | colore 105’
Nelle sale dal 22 febbraio
Gran premio della giuria a Cannes 2023, l’atteso ritorno alla regia di Jonathan Glazer arriva a distanza di oltre dieci anni dal precedente Under the skin, e si distingue non tanto per essere l’ennesimo titolo sulla Shoah pronto a incrementarne la già corposa filmografia, quanto per essere il titolo destinato a segnarne la rappresentazione.
Nella libera trasposizione dell’omonimo romanzo del connazionale Martin Amis, il regista londinese compone infatti un’opera astratta e concettuale che, al tempo stesso, si dà come una delle rappresentazioni più conformi alla banalità del male ma anche come una riflessione sullo sguardo, sulla sua forma, sul suo senso. Già la vicenda narrata – l’esistenza apparentemente perfetta di Rudolf Höss, il gerarca nazista che vive insieme alla moglie e ai cinque figli nella linda ed elegante villetta adiacente al famigerato campo di sterminio di Auschwitz, di cui è il comandante – testimonia il lavoro di trasformazione del testo originario, a cominciare dallo sfrondamento dei punti di vista (nel film sono elisi due dei tre attraverso i quali è invece articolato il romanzo) e della conseguente eliminazione di alcuni personaggi. Tuttavia, la stratificazione di cui si compone il testo filmico emerge attraverso la forma che Glazer organizza, grazie ai preziosi contributi artistici dei suoi collaboratori – spiccano la fotografia di Łukasz Żal, la scenografia di Chris Oddy e, soprattutto, la disturbante partitura musicale di Mica Levi. Una forma che, guardando alla lezione de Il figlio di Saul e anzi estremizzandola, si declina e si definisce nella geometrica dicotomia cui sono sottoposti gli spazi. Laddove quello idillico della villetta, nel quale la famiglia Höss vive giornate spensierate composte da gite in barca, riunioni con amici e scampagnate in bici, è contrapposto allo spazio oltre il muro di cinta che la delimita, del quale non ci sono immagini ma solo suoni che ne evocano la mostruosa attività.
Una messinscena tesa ad assegnare al fuoricampo una rilevanza drammaturgica tale da produrre un continuo, insostenibile conflitto con ciò che invece il film sceglie di mostrare. Proprio tale dicotomia è ciò che permette al film di accedere a un ulteriore livello che riguarda il cinema stesso, poiché fa collidere le componenti stesse del linguaggio audiovisivo, per farsi in tal modo meditazione sul senso stesso della rappresentazione e sui limiti dell’interpretazione. (Francesco Crispino, da Vivilcinema n. 1/2024)